Durante il Cairo Film Festival, tenutosi nella capitale egiziana a fine novembre, l’attrice Ranya Youssef ha osato sfilare sul red carpet con un abito che mostrava le gambe.
La reazione sul web dei suoi connazionali è stata immediata e furibonda – sotto forma di post indignati sui social e di denunce inviate alla Procura – tanto da far scattare immediatamente le indagini per “incitamento alla dissolutezza”, reato non contemplato nel Codice Penale egiziano ma ufficiosamente riconosciuto da ogni tribunale.
Youssef infatti è solo l’ennesimo nome di una nutrita lista di artisti che hanno dovuto pagare multe o scontare anni di carcere perché ritenuti responsabili di aver violato la legge morale rigidamente codificata dal Corano.
Ultimi in ordine di tempo, ad esempio, la cantante pop Shyma e il regista del suo ultimo video, arrestati e condannati a due anni di reclusione nel dicembre del 2017 per aver mostrato immagini di lei in biancheria intima che mangiava sensualmente una banana.
Stessa sorte tocca anche ai cittadini egiziani non famosi, come le 34 persone gay e transgender arrestate per aver sventolato bandiere arcobaleno durante il concerto del gruppo libanese Mashrou’ Leila, nell’ottobre del 2017.
Il processo di Youssef inizierà il 12 gennaio e potrebbe concludersi con una condanna fino a cinque anni.