Quando il Papa emerito Joseph Ratzinger ha pubblicato un libello di 18 pagine sui casi di pedofilia all’interno della Chiesa Cattolica,

dichiarando che gli abusi sui minori sono il frutto della rivoluzione culturale iniziata nel 1968, i giornalisti e gli esperti che ne hanno analizzato il contenuto si sono curiosamente soffermati su alcuni aspetti formali:
– se c’è “conflitto di interessi” tra i due papi, e se è lecito che quello in pensione pubblichi ancora;
– quanto sia da ritenersi valido lo scritto, visto che è infarcito di aneddoti personali dell’autore;
– se il testo sia autentico o se frutto di ghost writing, vista l’età dell’autore.
Alcuni hanno analizzato le tematiche affrontate nel libello e hanno riscontrato un’enorme lacuna: Ratzinger non parla del sistematico insabbiamento dei casi di pedofilia. Moltissimi si sono soffermati, spesso con toni divertiti, sull’espressione “club omosessuali” che Ratzinger ha usato per descrivere l’ambiente che si viveva in seminario durante i primi anni ’70. Tutti hanno notato come Ratzinger abbia descritto un mondo totalmente inventato, in cui la pedofilia era “permessa e appropriata“.
Ma ci sono alcuni importanti aspetti di quel testo che nessuno ha contestato.
In primo luogo Ratzinger accomuna omosessualità e pedofilia, con la solita cecità che contraddistingue la Chiesa Cattolica.
Dichiara che il declino della morale iniziò con “l’introduzione dei bambini e dei giovani alla natura della sessualità”, dice che “sessualità e pornografia divennero pratica comune”, che il “collasso mentale” della rivoluzione sessuale iniziata nel ’68 “era collegato anche a un’inclinazione alla violenza” (senza però spiegare come o perché) e che la nuova morale basata sull’uomo e non sulla rivelazione divina distrusse il concetto di bene assoluto e, di conseguenza, anche di male assoluto.
Questo, a suo avviso, portò direttamente alla pedofilia accettata dall’intera società, nonché al fenomeno dell’omosessualità tra i giovani che avrebbero voluto dedicare la loro vita a Dio: “in molti seminari c’erano delle cricche omosessuali che agivano più o meno apertamente, e che cambiarono significativamente il clima nei seminari”.
Eppure, come è stato dimostrato da molti studi – uno dei quali commissionato proprio dalla Chiesa Cattolica – non c’è relazione diretta tra omosessualità e pedofilia. Non solo perché, essendo la percentuale dei prelati gay stimata attorno al 70%, se ogni gay fosse automaticamente un molestatore avremmo un pedofilo in ogni parrocchia.
Ma anche perché all’interno della Chiesa avvengono pure abusi sulle donne adulte – siano esse suore, collaboratrici o semplici fedeli – che al giorno d’oggi vengono nascosti come fino a dieci anni fa si nascondevano gli abusi sui minori.
In secondo luogo Ratzinger ignora volutamente le date, dichiarando che fu il ’68 a dare l’avvio alla decadenza dei costumi che portò al dilagare della pedofilia, e aggiungendo che “la questione della pedofilia non divenne acuta fino alla seconda metà degli anni ’80”.
E fa di più, tira in ballo il Concilio Vaticano II, indicandolo come il momento in cui la teologia morale viene rivoluzionata e perde di valore.
Ironia vuole che proprio durante quel Concilio venne distribuito un opuscolo informativo sui casi di mancata castità tra i sacerdoti, che commettevano peccato giacendo con donne o bambini. Era il 1962.

Infatti i casi di abusi su minori sono noti alla Chiesa da ben prima del 1968!
L’inchiesta sulla pedofilia nell’arcidiocesi di Boston, oggigiorno la più nota al pubblico grazie al film premio Oscar Il caso spotlight che la racconta, è centrata sulle accuse nei confronti di padre John Geoghan, che ha molestato minori dal 1962 al 1993, anni prima che arrivassero gli hippie con la loro immoralità.
Per non parlare degli altri paesi in cui le vittime hanno denunciato prima degli anni ’60, ad esempio
– l’Alaska, dove la Compagnia di Gesù ha rimborsato più di cento persone vittime di abusi dal 1959 al 1986;
– l’Australia, dove la prima accusa a un sacerdote pedofilo fu mossa da Mary MacKillop, fondatrice delle Sorelle di San Giuseppe del Sacro Cuore, nell’Anno del Signore 1870;
– il Canada, dove la diocesi di Antigonish è finita sotto inchiesta per abusi risalenti agli anni ’50;
– l’Irlanda, dove il sacerdote Brendan Smyth ha iniziato ad abusare di minori a metà degli anni ’50.
Il che significa soltanto che negli altri paesi le denunce sono arrivate dopo molti anni, non che gli abusi non ci siano stati.
In terzo luogo, anche se (forse) non intenzionalmente, Ratzinger rispolvera una vecchia abitudine della Chiesa Cattolica: mettere all’indice i libri.
Parlando della generazione degli anni ’60 e della nuova libertà sessuale, il Papa emerito tira in ballo, forse consapevolmente o forse no, gli scrittori della beat generation che furono i veri ispiratori degli hippie.

Carr, Kerouac, Ginsberg, Borroughs
Columbia University, metà anni ’40
Se non fosse stato per Ginsberg e compagni, che per primi descrissero l’omosessualità come una delle tante espressioni dell’amore e loro stessi come uomini gay o bisessuali fieri di esserlo, il tabù dell’omosessualità forse non sarebbe mai stato distrutto.
Se non fosse stato per quegli scrittori, per quegli artisti, per quei folli sperimentatori di emozioni, forse oggi leggeremmo ancora storie in cui l’amore omosessuale viene descritto tramite sottili e spesso incomprensibili metafore, come accadeva nei secoli precedenti.
Se non ci fossero stati loro, il movimento sessantottino non avrebbe avuto libri-culto da cui trarre lezioni di vita.
E, alla faccia della pedofilia “legittima”, alla faccia della pornografia gay che invadeva le strade e i seminari, alla faccia della nuova libertà morale permessa dal collasso dei valori cristiani, alla faccia di tutto ciò che Ratzinger elenca nel suo trattatello descrivendo un mondo di cui non vi è traccia negli archivi storici, alcuni di questi scrittori vennero processati per i contenuti dei loro libri. Uno di loro venne addirittura incarcerato per pederastia.
La vita per gli omosessuali non è mai stata né semplice né sicura, grazie a quelli come Ratzinger, anche se lui tenta di dimostrare il contrario.
In quarto e ultimo luogo Ratzinger non solo giustifica, come da sempre fa la Chiesa Cattolica, ma minimizza anche.
Ed è il punto su cui più avrebbero dovuto insistere i giornalisti e gli esperti, che invece hanno taciuto e hanno preferito baloccarsi con il gossip sul Papa Uno che mette in difficoltà il Papa Due.
Dopo una tirata di pagine e pagine sul garantismo, sulla perdita del valore del martirio, e sulle legislazioni moderne che osano estromettere la fede, Ratzinger conclude lamentando lo zampino di Satana.
L’idea di considerare tutta la Chiesa come corrotta soltanto perché alcuni suoi membri sono corrotti è opera di Satana.
L’idea di rivoluzionare la Chiesa per eliminare i membri corrotti è opera di Satana.
L’idea di creare una Chiesa nuova, moderna, al passo coi tempi, che risponda alle nuove esigenze dell’umanità è opera di Satana.
L’idea di rigettare Dio perché la sua Chiesa è malvagia è – ovviamente – opera di Satana.

Per resistere all’influsso del maligno, dice Ratzinger, occorre mantenere salda la fede e riconoscere che sì, “nella Chiesa c’è il male e c’è il peccato, ma essa è ancora la Santa Chiesa ed è indistruttibile”.