Ormai da qualche anno si sente parlare di “educazione di genere“, una nuova forma di istruzione basata sull’uguaglianza tra i generi maschile e femminile, una speciale sensibilità che educatori, educatrici, madri e padri dovrebbero mostrare nei confronti dei giovani e delle giovani per smettere di perpetuare quello che viene chiamato “stereotipo di genere”.
Cos’è lo stereotipo di genere? Per dirla nel modo più sintetico e chiaro possibile, è quando si insegna alle bambine a comportarsi “da femmine” e ai bambini a comportarsi “da maschi”.
Le bambine devono essere graziose, pulite, sorridenti, pudiche, silenziose, responsabili.
I bambini devono essere forti, vincenti, rumorosi, insensibili, autosufficienti.
Questa divisione tra i generi è così radicata nella società da permeare ogni aspetto della vita, a qualunque età e in qualunque ambito. E’ talmente “normale” da creare continuamente discriminazioni per cui non si batte ciglio, come quella che mi ha spinto a scrivere questo articolo: due magliette viste in un negozio.

Nuova collezione di nota marca d’abbigliamento, t-shirt con messaggi motivazionali, linea donna e linea uomo. La donna, che da qualche tempo gode di una maggiore attenzione grazie alla nuova ondata femminista, può fieramente dire al mondo “io sono abbastanza”. L’uomo, che del maschilismo è ancora obbligato a essere bandiera, deve ricordare ogni giorno che “non ci sono scuse per il fallimento”.
Stereotipo di genere da indossare con nonchalance.
È ormai acclarato che la perpetuazione dello stereotipo di genere crea una società incline al sessismo, alla discriminazione di genere e, nei casi più gravi, alla violenza di genere. Ecco perché, per combatterlo, si tenta di introdurre nelle scuole e nelle famiglie l’educazione di genere di cui sopra.
Educazione sostenuta da tutti coloro che vorrebbero una società inclusiva, egualitaria, in cui ogni persona possa esprimere la propria inclinazione senza limiti; osteggiata da chi la considera il primo passo verso l’indifferenziazione sessuale (cit.) e la distruzione dell’istituzione familiare.

Tra le associazioni, i movimenti e le istituzioni che promuovono l’educazione di genere c’è il MIUR – Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca – che nel DDL del 2015 (“la buona scuola”) ribadisce come lo stereotipo di genere venga inculcato nei bambini e nelle bambine fin dalla primissima età, e incoraggia le scuole ad attivarsi per sradicarlo.
Qui si può leggere l’intero Comma riguardante l’educazione alla parità dei sessi, di cui riporto un brevissimo estratto:
[…] è opportuno ribadire che “maschio” e “femmina”, che connotano l’identità (l’essere) della persona, non sono etichette che denotano comportamenti predefiniti. Ci sono molti modi di essere donna e altrettanti di essere uomo. Si può essere uomini e donne in modo libero e rispettoso di sé e degli altri senza costringere nessuno dentro un modello rigido di comportamenti e di atteggiamenti. Lungo il percorso del processo educativo e formativo si deve favorire tale libertà, promuovendo conoscenze e attitudini legate quanto più possibile al pieno sviluppo della personalità di studenti e studentesse[…]
Tra le associazioni, i movimenti e le istituzioni che combattono l’educazione di genere c’è L’Avvenire – testata giornalistica di chiara ispirazione cattolica – che già nel 2014 spiegava a madri e padri come far fronte alla nuova “ideologia gender” (una cosa che non esiste ma che ha avuto immediato successo in rete, dove le minacce immaginarie diventano subito top trend) in un articolo intitolato “Gender a scuola, un decalogo per difendersi”.
Ed elencava per l’appunto dieci modi per salvare le bambine e i bambini dalle “lezioni di genere”, a partire dallo scegliere la scuola in base al programma formativo presentato a inizio anno, passando dal candidarsi come rappresentanti per poter monitorare i consigli di classe, per terminare con il tenere la prole a casa dalle lezioni un giorno alla settimana in segno di protesta.
Queste nuove tavole della legge hanno fatto decisamente presa su una vecchia conoscenza dell’Uaar, il senatore Simone Pillon, che fin dal primo giorno del suo mandato si è silenziosamente battuto per l’abolizione dell’indottrinamento del gender. E dopo tanto lavoro sommesso, ecco finalmente lo squillante proclama: il satanico gender è stato sconfitto, ogni classe ha al suo interno una Sentinella che vigila.

Oltre a chiedersi perché mai Pillon e i suoi seguaci vogliano “il bene dei figli” ma al contempo vogliano mantenere intatti stereotipi di genere per i quali anche i loro figli vengono bullizzati e anche le loro figlie vengono discriminate, ci si potrebbe chiedere quanto sia lecito che un Ministro del Governo annunci fieramente di aver fatto una cosa palesemente illegale.
Se davvero ci fosse un controllore che in ogni classe di ogni scuola di ogni paese di tutta Italia monitora il programma scolastico, e interviene se l’insegnante si discosta dai parametri decisi da una minoranza ideologizzata, staremmo vivendo una dittatura degna delle più note distopie letterarie. Scenario che la nostra Costituzione, su cui i Ministri giurano, impedisce con fermezza!
(questo articolo è scritto con un linguaggio inclusivo e paritario, usando contemporaneamente le forme maschile e femminile invece del solo maschile come plurale per entrambi i generi; è una piccola forma di uguaglianza che, come dimostrano recenti studi, contribuisce a formare idee non sessiste)