Come a tutti, anche ai musulmani praticanti piace andare in vacanza, ma le restrizioni imposte dalla loro religione rendono difficile trovare posti adeguati.
Per questo negli ultimi anni stanno fiorendo nel web siti specifici che indicano ai musulmani praticanti con quali compagnie aeree viaggiare per non incappare in bevande alcoliche, in quali alberghi soggiornare per avere la certezza che sia sempre garantita la separazione tra uomini e donne, in quali ristoranti mangiare per avere piatti halal (la cucina che non fa uso di maiale e derivati, e che prevede una particolare macellazione della carne), in quali strutture è data loro la possibilità di pregare cinque volte al giorno, e in generale in quali città non si sentiranno discriminati per il loro abbigliamento o le loro abitudini.
Ecco dunque apparire Halal Booking, Halal Travel Guide, Halal Trip, e per le donne Arabian Wanderess o Muslim travel girl, tutti siti che stanno riscuotendo sempre più successo tra i millennials di religione islamica.

Sarà perché ho visto di recente il film che ne parla, ma a me questi siti fanno venire in mente il Negro Motorist Green Book, la guida turistica che dal 1936 al 1964 ha spiegato alle persone di colore come viaggiare in sicurezza, in quali motel fermarsi per essere certi di essere accolti, in quali ristoranti mangiare per essere sicuri di poter utilizzare anche il bagno (nell’America della segregazione razziale vigeva la regola del “separati ma uguali”, che proibiva ai “negri” di utilizzare alberghi, ristoranti, servizi pubblici e perfino ospedali se in quegli edifici erano ammessi i “bianchi”).
Erano guide pensate per chi voleva o doveva viaggiare, ma voleva evitare di essere discriminato, arrestato o addirittura linciato per aver commesso l’errore di entrare in un locale proibito alle persone di colore.

Certo, le discriminazioni create dalle leggi Jim Crow erano ben più problematiche rispetto alle discriminazioni che può trovarsi ad affrontare un islamico che viene fatto allontanare dalla hall dell’albergo in cui si è messo a pregare, o una musulmana che viene guardata storta per il burkini, ma il problema di fondo è lo stesso: una comunità di persone in minoranza, discriminate, che vogliono fare ciò che è permesso a tutti gli altri ma non vogliono correre rischi per questo.
Ma qui la mia laicità ha posto il dubbio: discriminazione su base razziale e discriminazione su base religiosa hanno la stessa valenza?
Nel caso della religione è davvero discriminazione?
Credo che aprire alberghi solo per persone di colore, in un paese in cui le persone di colore non avevano nemmeno il diritto di sedersi dove volevano sull’autobus, sia stato un passo avanti verso il miglioramento della società. Sia stato uno spiraglio nelle vite di tante persone che per colpa di altri venivano limitate nella loro libertà.
Ma non credo che aprire alberghi in cui, per esempio, le donne hanno piscine separate dagli uomini sia un passo avanti verso il miglioramento della società. Anzi, credo che non si debbano dare questi spiragli a chi per sua stessa scelta impone limitazioni alla propria libertà.
Voi che ne dite?