Il Covid19 sta mietendo vittime. La maggioranza sconosciuti, molti operatori e operatrici nella sanità che stiamo imparando a conoscere, alcune persone famose.
Tra queste Luis Sepùlveda, scrittore sopravvissuto a molte cose, ma non a questa pandemia. Il virus se l’è portato via ieri.
Sepùlveda era nato in Cile, aveva combattuto in Bolivia nell’Esercito di Liberazione Nazionale (quello fondato da Che Guevara), aveva militato nel GAP (Grupo de Amigos Personales, il corpo di guardia di Salvador Allende), aveva visto il suo compagno socialista venire eletto e diventare Presidente della nazione, era presente quando il loro sogno si è sbriciolato sotto il colpo di stato militare del generale Pinochet.
Ha subito sette mesi di reclusione e di tortura nelle carceri da cui tanti militanti sparivano (i desaparecidos di cui immagino avrete già sentito parlare), è stato liberato grazie ad Amnesty International, è stato incarcerato di nuovo, liberato di nuovo. Per un periodo ha vissuto con gli indios, per un periodo ha combattuto con le Brigate Internazionali Simon Bolivar, per un periodo ha girato il mondo con Greenpeace.
Durante tutta questa incredibile vita ha continuamente scritto della sua terra, dei suoi ideali, dei suoi compagni di lotta, della natura selvaggia, della fratellanza tra diversi, dei sogni che non muoiono mai.

Io ho letto tanti dei suoi libri, iniziando ovviamente con Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, quello che conoscono tutti, quello del cartone animato col gatto grasso.
Ho iniziato a leggere Sepùlveda perché quel titolo era strano e mi incuriosiva, ho continuato perché il suo stile era scorrevole e i suoi libri erano comodamente corti, non ho mai smesso perché le sue storie riecheggiavano forte con qualcosa che avevo dentro. Qualcosa “di sinistra”, qualcosa che pretendeva giustizia, libertà, uguaglianza in tutto il mondo. Qualcosa che subiva il richiamo dei suoi racconti, qualcosa che rispondeva nella stessa lingua.
Alla fine li ho letti quasi tutti, e ognuno è stato una piccola lezione che non ho dimenticato.
Con le varie “storia di qualcosa che fa qualcosa” (ce ne sono cinque) mi ha insegnato che gli animali hanno vite segrete straordinarie, che si può diventare grandi amici di qualcuno che ci sembrava molto diverso da noi, che spesso non abbiamo idea di dove stiamo andando ma che quando ci arriviamo tutto ha senso.
Con le altre historias, cioè raccolte di racconti “di vita vissuta” – da sudamericani, da combattenti, dallo stesso Sepùlveda, dai suoi amici – cambiate drasticamente nei titoli per dare l’idea di romanzi (Historias marginales è diventato Le rose di Acatama, Historias de aquí y de allá l’abbiamo cambiato in Ritratto di gruppo con assenza…) e con le altre raccolte come Incontro d’amore in un paese in guerra (in originale Desencuentros, magico!), L’avventurosa storia dell’Uzbeko muto (che in originale prevedeva anche y otra historias clandestinas), La frontiera scomparsa, La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio, Il potere dei sogni o Ingredienti per una vita di formidabili passioni (che era una più modesta Escritura en tiempos de crisis) mi ha insegnato innanzitutto che i titoli sono più belli quando li sceglie l’autore.
E poi, soprattutto, che esistono tantissimi modi di combattere per ciò in cui si crede. Un modo per ogni persona. Alcuni efficaci, alcuni disastrosi. Alcuni strampalati, alcuni istituzionali. Alcuni idealisti, alcuni sporchi di terra. Alcuni esagerati, alcuni quasi invisibili… ma sono tutti indispensabili. Da tutti questi racconti ho imparato che non importa come si combatte, l’importante è non arrendersi!
Con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore mi ha insegnato in quanti modi si può morire nella foresta amazzonica, non solo fisicamente.
Con Diario di un killer sentimentale mi ha insegnato che puoi cambiare città tutte le volte che vuoi, ma rimani sempre te stesso.
Con Il mondo alla fine del mondo, Jacaré, e più o meno qualsiasi cosa abbia scritto, compresi alcuni libri già nominati, mi ha insegnato a rispettare la natura. Non nel senso di fare la raccolta differenziata o di non uccidere i ragni, cose importanti ma “addomesticate” alla vita umana. Nel senso di averne profonda cura e profondo timore, perché non sai mai quando potrebbe decidere che ne ha abbastanza di essere maltrattata.
In generale, con tutto ciò che ha scritto Luis Sepùlveda mi ha insegnato il rispetto.
Per la vita, per gli esseri viventi. Per gli ideali, per i sogni. Per gli sforzi, per la sofferenze, per le sconfitte a cui le persone inevitabilmente vanno incontro. Per la storia, che non è solo una pagina spiegata con nomi e date ma è una “cosa” vera, fatta da persone, fatta di persone.
La sua morte mi rattrista, ma scelgo di sorridere. Penso al titolo che l’ha reso famoso nel mondo, a quello che si dice sempre di chi viene a mancare troppo presto… e allora lo saluto così: ciao Luis, insegna ai gabbiani a volare!