La cronaca degli ultimi giorni sembra presa da un quotidiano del 1981, anno in cui l’Italia vantava ancora nel proprio codice penale l’articolo 587, che regolava il delitto d’onore.
L’articolo recitava: Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Ovvero: se una donna, con il suo comportamento indecente o inappropriato, reca offesa all’onore della famiglia, scatena un’ira incontrollabile. Chiunque decida di ucciderla, mosso da quest’ira pienamente giustificata, verrà quindi condannato a una pena lieve, nemmeno lontanamente paragonabile alla pena che spetta a chi compie omicidio volontario (che era all’epoca, ed è tutt’ora, di minimo 21 anni secondo l’articolo 575).
Venerdì 18 settembre 2020, nei giornali e nei siti di notizie online, si poteva leggere una sentenza della Corte d’Appello di Milano che risuonava particolarmente “anni ’70”: pena ridotta per l’esasperazione data da una condotta troppo disinvolta.
Il condannato, all’incirca un anno fa, aveva deciso di non poterne più dei continui tradimenti (risaputi e mai ostacolati) della moglie. Nel momento in cui lei era rimasta incinta di un altro uomo aveva deciso di reagire, massacrandola di botte, minacciandola di morte e infine stuprandola.
Per i giudici la colpa era evidente, quindi l’hanno condannato con rito abbreviato a 5 anni. In Appello identica sentenza di evidente, per i giudici addirittura “granitica”, colpevolezza, ma pena diminuita a 4 anni e 4 mesi per l’attenuante dell’esasperazione.
Questa esasperazione, decreta la Corte, “se certo non attenua la responsabilità, è tuttavia indice di una più scarsa intensità del dolo, e della condizione di degrado in cui viveva la coppia”. Ovvero: lui è colpevole, certo, ma lei si comportava talmente male che la sua reazione è in parte giustificabile, e quindi meno grave.
Ma qualcuno potrà dire: che sarà mai? Otto mesi in meno, praticamente non cambia nulla!
Allora torniamo al marzo del 2019, quando un uxoricida venne condannato a 16 anni di reclusione, invece di 30 come chiedeva l’accusa, perché furono accettate le attenuanti generiche presentate dalla difesa. Secondo la sentenza l’uomo era mosso da “un misto di rabbia e disperazione, profonda delusione e risentimento” nei confronti della moglie, quindi ha agito “come reazione al comportamento della donna, del tutto incoerente e contraddittorio, che l’ha illuso e disilluso allo stesso tempo”. E ancora: “il contesto in cui il gesto si colloca vale a connotare l’azione, in un’ipotetica scala di gravità, su un gradino più basso rispetto ad altre”.
Quattordici anni di carcere in meno perché lei si era comportata male, l’aveva illuso, l’aveva fatto arrabbiare troppo. Perché il contesto era meno grave rispetto al “normale” femminicidio. Perché in un certo senso, dunque, lui era giustificato a ucciderla.
Quattrodici anni bastano per dire che stiamo tornando alla visione della donna che aveva dato vita all’articolo 587?
Quattordici anni di reclusione in meno, sempre da 30 a 16, anche per il ragazzo che nel 2016, dopo un mese di relazione, strangolò la fidanzata a mani nude. Le attenuanti? Una devastante, incontrollabile gelosia. La sentenza, basata anche su una perizia psichiatrica, decretò che “a causa delle sue poco felici esperienze di vita” il ragazzo ebbe una “soverchiante tempesta emotiva e passionale”, tale da giustificare in parte la sua reazione violenta.
Potrei continuare all’infinito, andando a ritroso di caso in caso fino a risalire agli atti giudiziari del 1981. Ma non avrebbe senso, ciò che è passato non torna. Ciò che importa è il futuro.
Quindi aspettiamo di vedere quali saranno le attenuanti concesse all’uomo che, il 13 settembre scorso, ha ucciso la sorella perché frequentava un ragazzo transgenere (nato biologicamente donna ma che si identifica come uomo). Li ha seguiti, ha speronato il loro motorino, li ha fatti cadere, ha ferito lui, ha ammazzato lei, infine in preda alla rabbia ha picchiato lui. Il motivo? L’ha detto nella confessione alle forze dell’ordine: il ragazzo trans l’aveva infettata.
Non ci sono dubbi che in famiglia non accettassero la relazione. Non tolleravano che la figlia amasse una persona transgenere. La volevano riavere indietro purificata. Senza onta.
Ma parenti, amici, perfino il parroco, tutti giustificano il fratello dicendo che voleva solo parlarle, non certo ucciderla. Voleva farla ragionare, farla tornare sulla “retta via”. Non è un uomo violento, non voleva farle del male, è una brava persona, dichiara chiunque lo conosca.
Vedremo se anche questa volta i giudici riconosceranno tra le attenuanti la rabbia e il buon nome della famiglia da preservare, come se quell’articolo 587 non fosse mai stato abrogato.
Aggiunta del 10 dicembre: nessun riduzione di pena per l’uomo che l’anno scorso sgozzò sua moglie nel sonno. Per lui COMPLETA ASSOLUZIONE. Una perizia psichiatrica ha determinato che il femminicida soffrisse di un delirio di gelosia che lo rendeva del tutto incapace di resistere agli impulsi violenti. L’accusa richiese l’ergastolo, l’Assise lo affida a una struttura ospedaliera dove si suppone verrà riabilitato. La donna è stata uccisa due volte.
Aggiunta del 10 gennaio 2021: condanna a vent’anni per l’uomo che l’anno scorso, dopo mesi di stalking, uccise la compagna con diciannove coltellate. Negato l’ergastolo perché rigettate in blocco le aggravanti di premeditazione, futili motivi e crudeltà presentate dall’accusa. Dovrebbe far scalpore anche il ricorso al rito abbreviato, che è per legge proibito nei casi di femminicidio, ma nessuna voce si leva.